Hoy me dejo estar. Quiesiera transformar mi vida en una larga, torpe, siesta paraguaya.
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Tuve mis cuatro alegrías y mis ocho dolores. Fui extranjero en todas partes y bebí la sal de todos los vientos. Se ensangrentaron mis puños golpeando portales que no se abrían y mi voz se rompió con el último alarido. Y entonces, come en la vieja fábula del zorro y las uvas, dije que nada valía nada, porque nadia había conseguido apresar. Estoy, pues, como antes de soñar: sin nada. O, peor, porque ya ni sueños tengo.
(Roberto Mariani)
Le mie origini si perdono nella notte dei tempi e dei miti. Secondo questi ultimi, il mio fondatore fu Ercole libico. Di certo c’è che un insediamento già esisteva – dove oggi esisto io – nella seconda età del Bronzo; con un’importanza crescente nell’età del Ferro.
I secoli successivi qualificarono il mio territorio quale insediamento etrusco-retico, e Plinio il Vecchio fa risalire proprio ai Reti mia la fondazione. È in età romana che mi sviluppo sia economicamente che urbanisticamente. Tra il 49 e il 42 aC infatti divento municipium – iscritto alla tribù Menenia, appartenevo alla X regione augustea. Gli anni della romanizzazione mi caratterizzano come una città divisa – così come ancora oggi – tra una parte “alta”, sul Colle, e una parte “bassa”, alle sue pendici. Sempre la mia posizione strategica tra l’Adriatico e il Danubio mi ha portato a essere un importante punto di passaggio della via militare romana Claudia Augusta Altinate, che collegava direttamente Altino con Merano, proseguendo poi oltre le Alpi fino a raggiungere il Danubio in Baviera. L’importanza economica assunta in età romana è documentata dai numerosi reperti archeologici ed epigrafici, che attestano la presenza di numerose associazioni professionali (fabri, centonari, dendrophori) e di importanti magistrature urbane tra le mie “mura”. Il museo e l’area archeologica del Duomo ne costituiscono un’importante dimostrazione.
Come buona parte della Penisola, anch’io subii, a partire dal V secolo dC, le invasioni barbariche e saccheggi vari a opera di Visigoti, Alani, Unni, Ostrogoti. La peggiore invasione fu quella dei Longobardi capitanati da Alboino – al quale è intitolato il castello cittadino! – nel 569 dC, che portò alla mia distruzione. Negli anni successivi, sono finita sotto il dominio dei Franchi e torna così a crescere il mio ruolo di guida del territorio circostante. In questi secoli difficili cresce il potere della Chiesa – la fondazione della diocesi risale al tardo impero – a scapito di quello laico e con Ottone I arriva la figura del vescovo-conte, che controlla con potere temporale e religioso un territorio che comprende le valli del Primiero e del Tesino, la Valsugana sino a Pergine e lambisce la val di Fiemme. Nel 1178 il vescovo Drudo riceve dall’imperatore Federico I il diritto a coniare moneta e a fortificarmi, finalmente. La prima cinta muraria, assai arretrata rispetto a quella attuale, era caratterizzata da quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali e da numerose torri. Il castello era assai più esteso e anch’esso contornato da quattro torri. È l’epoca nella quale nasce l’assetto urbano che, con lievi modifiche, è arrivato sino ai giorni nostri.
Tra il XIII e il XV secolo sono una città ricca e fiorente, e per questo contesa tra le potenze limitrofe, per difendermi dalle quali cambio spesso le alleanze – ma questa, come ben sapete, è una prassi italica consueta. Città ghibellina, mi schierai contro Federico Barbarossa e contro Ezzelino da Romano, che nel 1248 mi conquistò. Tra XIII e XIV si alternano su di me i poteri di Treviso, Verona, Boemi, Carraresi, Duchi d’Austria, Visconti. Nel 1404 in seguito alla morte di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, i maggiorenti che mi controllano decidono – contro la mia volontà, ça va sans dire – di sottomettersi alla Serenissima Repubblica di Venezia. Non per questo cessano le manovre da parte dell’Impero di impossessarsi del mio territorio, ma dal 1420 al 1508 vi è un periodo di stabilità e pace sotto la Serenissima. Al quale seguono purtroppo, nel primo decennio del cinquecento, una serie di tentativi di conquista da parte dell’imperatore Massimiliano d’Austria, nel corso della sua campagna per attraversare il territorio veneto in armi per andare a Roma a ricevere la corona imperiale, e da parte della Lega di Cambrai, intenzionata a distruggere la potenza veneziana per terra e per mare. Dal 1508 al 1511 sono così oggetto di un continuo tentativo di conquista e di riconquista da parte dell’ Impero e della Repubblica che sfocia nell’eccidio e nell’incendio del 1510, che mi riduce nella più totale rovina al punto che i cronisti locali dettano le loro memorie “ex cineribus Feltriae”.
Gli anni successivi sono quelli della ricostruzione. La mia parte vecchia, arroccata sul colle, si trasforma e abbandona il vecchio impianto “alpino” per essere ridisegnata in stile veneziano, con palazzi riccamente adornati di affreschi, sia all’interno che all’esterno. Nel Rinascimento sono insomma vivace e laboriosa, ma pure in questo caso i tempi sono destinati a cambiare. Nel XVII secolo inizia un nuovo progressivo decadimento socioeconomico, amplificato dallo spopolamento, dovuto sostanzialmente alla politica economica della Repubblica di Venezia che limita la produzione di manufatti in terraferma e dalla conseguente scelta della classe imprenditoriale di investire i precedenti lauti guadagni ricavati dall’attività tessile e laniera, nella costruzione di ville nel contado.
Nella Pasqua del 1785 la parte più ampia e ricca del territorio della mia diocesi, comprendente il Primiero e la Valsugana, viene smembrata e attribuita alla diocesi-principato di Trento, in omaggio al principio dell’ identità fra confini religiosi e confini civili. Pochi decenni dopo, nel 1818, la diocesi è affidata a un unico vescovo in unione con Belluno – che invece si ingrandisce sempre più con i territori del Cadore e dell’Alto Agordino.
Nel 1797 cade la Serenissima Repubblica e arrivano i francesi, seguiti l’anno dopo dagli austriaci. A seguito del Congresso di Vienna, vengo annessa al Regno Lombardo-Veneto, ancora una volta sotto dominio austriaco. Dopo un lungo penare, nel 1866 entro finalmente nel Regno d’Italia. La fin du siècle vede una nuova ristrutturazione urbana della mia Cittadella, con la realizzazione dell’odierna piazza “Trento e Trieste”, l’abbattimento della chiesa di Santo Stefano, per dare a piazza “Vittorio Emanuele” l’assetto odierno, e di due torrioni nel versante sud della cinta muraria.
Il tempo corre veloce e la Prima guerra mondiale coglie me e il mio Feltrino a ridosso della prima linea del fronte. Divento così luogo di smistamento di truppe e derrate; gli edifici vengono adattati agli scopi militari. Dopo Caporetto, nell’autunno 1917 gli austroungarici mi occupano ancora una volta. È l’anno della fame, il più duro che la mia storia ricordi. Il fronte è a pochi chilometri e sulle montagne che mi circondano si combattono alcune delle più importanti battaglie del conflitto. Nel primo dopoguerra il mio Feltrino diviene uno dei territori più produttivi della provincia, con lo sviluppo impetuoso della Fabbrica Birra Pedavena, della Metallutrgica Feltrina, della Manifattura Piave e di un buon reticolo di industrie artigianali e produttive minori.
La ricostruzione non fa in tempo a terminare che si scatena il secondo conflitto bellico mondiale. Il 19 luglio 1943 Benito Mussolini e Adolf Hitler si affacciano dai balconi dell’allora Caffè Grande in Largo Castaldi, prima di avviarsi all’incontro di Villa Pagani Gaggia a Belluno – noto nelle cronache storiche come “Incontro di Feltre”. La situazione precipita dopo l’armistizio, quando, assieme al mio amato Feltrino, vengo annessa militarmente all’Alpenvorland del Terzo Reich. I miei figli resistono all’invasore. Nel 1944 ci sono le prime reazioni, che culminano nella reazione dell’invasore nazifascista: il 19 giugno furono uccisi il colonnello Angelo Giuseppe Zancanaro, il figlio Luciano, Pietro Vendrami, Roberto Colonna e Oldino De Paoli, e duramente malmenati e imprigionati a Baldenich don Giulio Gaio e don Candido Fent; successivamente 120 persone vennero deportate nel campo di Bolzano. Nasce nello stesso periodo una Resistenza a prevalente guida cattolica che in due anni di sotterraneo e quotidiano impegno porterà alla Liberazione nel 1945 – proprio in virtù dei “sacrifici delle mie popolazioni” e per la mia “attività nella lotta partigiana”, verrò insignita nel 1952 della medaglia d’argento al valor militare.
Il dopoguerra è storia recente. Mi caratterizzo prevalentemente quale città di servizi, con poche fabbriche di medie dimensioni – l’azienda principale per lunghi anni sarà l’ospedale. Aumenta l’offerta formativa, che presenta scuole di ogni ordine e grado, per rispondere alle esigenze di un territorio allargato. Negli anni Sessanta tra le mie “mura” nasce l’università Iulm, con la facoltà di lingue moderne, che resterà un cardine cittadino per oltre trent’anni. Nello stesso periodo, nasce il sentimento europeo e internazionale che porterà nel giro di quarant’anni a siglare otto gemellaggi (Bagnols-sur-Cèze, Francia; Braunfels, Germania; Carcaixent, Spagna; Colonia del Sacramento, Uruguay; Dudelange, Lussemburgo; Eeklo, Belgio; Kiskunfélegyháza, Ungheria; Newbury, Inghilterra).
A partire dagli anni Ottanta, inizia un lento declino, che mi ha visto progressivamente svuotarmi dei miei ruoli. Nel 1986 la ormai ex potente diocesi di Feltre, anticamente estesa sino a lambire i territori di Trento e Bolzano, viene unita a quella storicamente meno importante di Belluno. Un decennio dopo chiude la facoltà di lingue moderne, sostituita per alcuni anni da quella di relazioni pubbliche. Il nuovo millennio si apre con la chiusura delle caserme Zannettelli, casa del Settimo alpini, seguita a stretto giro di posta dalla chiusura della seconda facoltà universitaria. Per alcuni anni sopravvive una Fondazione universitaria svuotata di studenti e contenuti. Nel 2016, mentre cerco di rialzarmi e trovare un nuovo ruolo nel Terzo millennio, anche l’Ulss 2, il mio gioiello, viene soppressa e accorpata a quella di Belluno, ponendo termine a una autonomia sanitaria che durava dal 1200.
Il resto, è domani.
Ps: si ringrazia Tita Rossi per la concessione inconsapevole delle immagini…