Jazzit. L’inclusivo melting pot di creatività musicale tra depositi ferroviari e cassapanche
Hoy me dejo estar. Quiesiera transformar mi vida en una larga, torpe, siesta paraguaya.
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Tuve mis cuatro alegrías y mis ocho dolores. Fui extranjero en todas partes y bebí la sal de todos los vientos. Se ensangrentaron mis puños golpeando portales que no se abrían y mi voz se rompió con el último alarido. Y entonces, come en la vieja fábula del zorro y las uvas, dije que nada valía nada, porque nadia había conseguido apresar. Estoy, pues, como antes de soñar: sin nada. O, peor, porque ya ni sueños tengo.
(Roberto Mariani)
Jazzit. A Feltre venerdì 23, sabato 24 e domenica 25 giugno 2017. Il melting pot della musica.
Una delle caratteristiche principali di Jazzit è quella di vivere di “Residenze creative”, di non avere cioè una scaletta stereotipata, un programma di concerti prefissati, sacro e inviolabile. Il classico concerto, con i musicisti isolati sul palco e il pubblico frontale seduto, immobile, a tratti assopito, non è contemplato. Sì, certo, qualche piccolo palco c’è, ma non con lo scopo di dividere chi suona da chi ascolta. Sì, certo, anche il pubblico c’è. Logico. Ma mica si siede, se non per terra, sul selciato, sul porfido, talvolta sull’erba.
Le assonanze con un festival tradizionale si limitano a questo, per il resto Jazzit è un non festival. È un qualcosa di nuovo, di ibrido verrebbe da dire se non fosse che l’essere ibrido oggigiorno è una moda. La definizione migliore allora è ancora quella di Massimo Bray, inutile ripeterla: ascoltatela.
“Residenze creative”, quindi, dicevo. Ma cosa diavolo sono le “residenze creative”? La definizione che offre il sito ufficiale di Jazzit precisa senza illuminare: “il programma artistico del Jazzit Fest si alimenta esclusivamente di Residenze creative: ciò significa che si può partecipare all’evento solo e soltanto se si è disposti a scambiarsi informazioni utili, esperienze e capacità; per registrare, produrre, provare, suonare e arrangiare nuova musica; per aggiornarsi sulle nuove forme del music business attraverso workshop, conferenze e l’incontro con ospiti internazionali”.
Tutto chiaro? Ma neanche per idea. Anzi, la confusione aumenta. Proviamo a chiedere l’aiuto da casa: il dizionario.
“Residenza – 1) il fatto di risiedere, il luogo in cui si risiede; a) nell’uso giur. e amministr., residenza indica il luogo in cui una persona vive abitualmente, formalmente indicato nei registri anagrafici comunali; b) la città, di norma la capitale, in cui hanno la propria sede gli organi di potere di uno stato o di una regione; c) l’abitazione assegnata d’ufficio a determinati funzionari che rivestono cariche e mansioni pubbliche; d) nell’uso diplomatico, l’edificio in cui risiede ufficialmente il capo di una missione estera permanente; in passato, il complesso di uffici dell’organo con cui lo Stato protettore esercitava i suoi poteri presso lo Stato protetto. 2)a) cassapanca a spalliera alta, con fiancate a gradini, sulla quale poteva venire steso un piccolo materasso, tipica del Rinascimento; b) specie di baldacchino sotto il quale sta a volte esposto il ss. sacramento. Sinomini: casa, alloggio, edificio, domicilio, abitazione, sede, dimora, deposito ferroviario”.
Di bene in meglio. La confusione aumenta. In particolare con l’ultimo sinonimo, che apparentemente sembra nulla avere a che fare con l’argomento Jazzit. Apparentemente. Va be’, proseguiamo.
“Creativo – 1) della creazione, relativo alla creazione: atto, processo creativo; 2) che ha creatività, che è ricco di inventiva; 3) riferito a fatti economici, non regolare, al limite dell’illegalità; anche, illegale; 4) chi elabora progetti per una campagna pubblicitaria”.
Ecco, qui le cose iniziano lievemente a migliorare. Adesso si tratta di mettere insieme le due definizioni. Una Residenza creativa apparentemente è una “casa dove si crea”. Be’, pensavo peggio. Certo, potrebbe sempre essere un “deposito ferroviario dove si elaborano progetti per una campagna pubblicitaria”. O una “cassapanca al limite della legalità”. O ancora “baldacchino sotto il quale sta esposto l’atto creativo”. In fondo, non si sa mai.
Ricapitoliamo. Jazzit dura tre giorni: venerdì 23, sabato 24, domenica 25 giugno. Per tre giorni di conseguenza saranno attive queste “Residenze creative”, queste “case/abitazioni/edifici dove si crea, dove si inventa”. Cosa? Ah, bella domanda. Ma qui la risposta è facile: qualcosa di legato alla musica. E in particolare, qualcosa di legato alla musica jazz.
Vuoi piccoli concerti, magari acustici. Vuoi laboratori di insegnamento. Vuoi registrazione di video. Vuoi workshop teorici e/o pratici. Vuoi laboratori di guida all’ascolto. Vuoi un po’ tutto quello che passa per la testa agli artisti che decidono di vivere l’esperienza delle Residenze creative. Eh, sì: perché Jazzit non si basa sugli inviti, ma sulle autocandidature. Ogni musicista interessato scrive spiegando i perché e i percome della sua partecipazione, racconta cosa intende proporre nei tre giorni, illustra il valore aggiunto che la sua partecipazione darà a Jazzit.
Ma c’è di più. Ed è un di più sempre legato al nome “Residenze creative”, come declinato dopo la lettura del dizionario – la prima versione, giusto per capirci. Perché ognuna di esse sarà ospitata “in abitazioni private ma anche all’interno di chiostri, palazzi storici, residenze d’epoca, piazze, strade, chiese e auditorium”. In questo modo, i musicisti vivranno anche un legame più forte con la comunità locale che li accoglierà. Si metteranno di fatto a disposizione di Feltre. Ci sarà un continuo dare e avere tra tutti i partecipanti a Jazzit. Un confronto a più voci, un’innovativa forma di inclusione e di cooperazione sociale, un interscambio continuo che porterà tutti a crescere.
E non è finita qui. Perché tutto questo sarà gratis, sotto tutti i punti di vista. Cioè i feltrini non dovranno pagare per l’incommensurabile onore di avere in casa o in giardino qualche nume sacro della musica jazz. E nemmeno gli artisti dovranno pagare per avere l’onore invidiabile di passare tre giorni in una residenza feltrina. E nemmeno i volontari che arriveranno da mezza Europa – l’altra mezza sarà impegnata a suonare – dovranno pagare per il privilegio di godere dell’inimitabile ospitalità feltrina. Inoltre, “tutto ciò che viene generato in occasione dei tre giorni del Jazzit Fest – musica, fotografie, video, testi, opere d’arte, etc – diventa di pubblico dominio, royalty-free, o viene concesso dall’autore alla Jazzit Records e alla Jazzit Tv per scopi non commerciali”. Perché la musica è una forma d’arte e d’espressione, è una professione, è un fatto sociale.
Non perdete tempo allora. Zaino in spalla e via. Jazzit vi aspetta. Perché un’altra cultura è possibile.