Hoy me dejo estar. Quiesiera transformar mi vida en una larga, torpe, siesta paraguaya.
[…]
Tuve mis cuatro alegrías y mis ocho dolores. Fui extranjero en todas partes y bebí la sal de todos los vientos. Se ensangrentaron mis puños golpeando portales que no se abrían y mi voz se rompió con el último alarido. Y entonces, come en la vieja fábula del zorro y las uvas, dije que nada valía nada, porque nadia había conseguido apresar. Estoy, pues, como antes de soñar: sin nada. O, peor, porque ya ni sueños tengo.
(Roberto Mariani)
Jazzit. A Feltre venerdì 23, sabato 24 e domenica 25 giugno 2017. Il non festival. – Cioè, come viene?
Jazzit è “una cultura che vuole fare comunità. […] È una cultura che sfugge a qualunque catalogazione: non è un festival, non è una mostra, non è un modo per chiedere risorse alle istituzioni, non vuole essere istituzionalizzata”, per citare Massimo Bray. – Ah, ecco.
Sì, ma non basta. Perché questa è la superficie. Sotto, dietro, l’iceberg è dilagante. Jazzit si basa su una Carta dei valori. In un momento nel quale l’umanità ha deciso che l’etica è qualcosa di superfluo, che i valori sono un qualcosa da bruciare, che l’individualismo spiccio è l’unica religione, da declinarsi secondo nomi di divinità ancora più a caso che in passato, c’è qualche pazzo che invece continua a credere nella comunità, nell’inclusione, nella socialità. In valori umani, insomma. – Una carta dei valori? Cioè, si raccolgono bollini e dopo c’è il premio o un buono sconto?
Va be’, ma lei è proprio di coccio, signora mia. Valori umani: sostenibilità economica, sostenibilità ambientale, inclusione sociale, residenze creative, direzione artistica open source, sharing economy cooperazione sociale, rigenerazione urbana, turismo culturale, comunicazione bidirezionale. Insomma, valori che rendono questo accidente che chiamiamo vita degno di essere vissuto.
– Ah. Certo che lei scrive difficile. Non ho capito nulla, con tutti quei termini astrusi e inglesi.
Li declino, allora. Così forse anche lei riesce a comprenderli. Sostenibilità economica: Jazzit “è finanziato esclusivamente da sponsorizzazioni e donazioni raccolte attraverso la Banca di sviluppo culturale”; in questo modo si coinvolgono cittadini e imprese di un territorio portandoli a cooperare a uno sviluppo sostenibile e giusto di una comunità locale. Ciascun contributo serve da un lato a finanziare Jazzit, dall’altro a dare vita all’Archivio della memoria civica. Sostenibilità ambientale: Jazzit “ha firmato il protocollo A impronta zero, al fine di generare il più basso impatto ambientale possibile”; la plastica è messa al bando, si utilizzano soltanto materiali di recupero e riciclabili. Inclusione sociale: Jazzit “mette in relazione una comunità di cittadini con una comunità di creativi, per dimostrare che attraverso la cultura e l’arte sia possibile incoraggiare una collettività ad attivare un processo virtuoso e tangibile di sviluppo economico, turistico e culturale”; perché tutti i protagonisti di Jazzit vengono ospitati dalla comunità locale in case private. Residenze creative: Jazzit “si alimenta di residenze creative e non di performance: ciò significa che non si partecipa per suonare, ma per vivere una residenza di tre giorni in una comunità locale, con il desiderio di conoscere e incontrare”; qualche casa diventerà studio di registrazione, qualche altra ospiterà corsi e lezioni, e via discorrendo. Direzione artistica open source: a Jazzit “i protagonisti aderiscono all’evento liberamente, spontaneamente e a titolo gratuito”; nessuno viene invitato dall’organizzazione, chi partecipa si candida, spiega il perché e il “percome” vuole essere presente e, se risponde alle ragioni della Carta dei valori, viene selezionato. Sharing economy: a Jazzit “ciascun protagonista, dal musicista al volontario, passando per il pubblico e la comunità locale, mette a disposizione degli altri qualcosa di sé, affinché l’evento diventi sostenibile e collettivo”; i musicisti suonano, i cantanti cantano, i fotografi fotografano, ciascuno insomma viene coinvolto per quello che sa fare e può dare agli altri; inoltre tutto ciò che verrà realizzato nel corso di Jazzit diventerà di pubblico dominio, royalty-free. Cooperazione sociale: a Jazzit “la cittadinanza che ospita l’evento è invitata a un agire comune, per dimostrare come si possa fare comunità attorno alla musica, all’arte e alla creatività”; i cittadini che ospitano Jazzit non sono solo pubblico, sono essi stessi i primi protagonisti allo scopo di “riattivare le potenzialità umane e professionali” della comunità. Rigenerazione urbana: a Jazzit “l’intero paese diventa un unico spazio vitale all’interno del quale viene promosso l’evento: ciò significa entrare in contatto con un patrimonio monumentale che spesso è inutilizzato o abbandonato”; non ci si limita a proporre il classico concerto sul palco, frontale; si vuole che la musica, e le altre arti, diventino parte integrante del tessuto urbano della comunità, consentendole di riscoprire luoghi dimenticati, sottoutilizzati, sconosciuti.. Turismo culturale: a Jazzit “la cittadinanza è invitata a esprimere il proprio talento e a generare contenuti. Chi più sa, può comunicarlo e condividerlo con gli altri”; anche in questo caso la comunità locale è chiamata a svolgere un ruolo attivo, proponendo ai musicisti e a tutti gli altri ospiti i propri saperi, i propri talenti. Comunicazione bidirezionale: Jazzit “viene promosso attraverso una comunicazione bidirezionale per immagini con hashtag, un modello che rende tutti coinvolti nel ruolo di emittenti e riceventi”; la comunità locale userà l’hashtag “#benvenuti_jazzitfest”, gli ospiti useranno l’hashtag “#eccomi_jazzitfest”.
È tutto chiaro, adesso?
– Credo di sì. Allora, se ho capito bene, io posso partecipare ospitando qualcuno a casa mia, oppure mettendo a disposizione la mia professionalità, o ancora organizzando escursioni alla scoperta del nostro territorio, o ancora organizzando laboratori sulla cultura locale. Bello.
E non dimentichi la Banca di sviluppo culturale. – Ecco. Sempre ai soldi puntate, voi.
Be’, ma mica le chiediamo dei soldi tanto per fare. Il suo contributo, e quello di tutti i feltrini, servirà per la nascita dell’Archivio della memoria civica, all’interno del quale troveranno spazio documentari e video interviste agli abitanti di Feltre per “documentare, conoscere e condividere la cultura, la memoria, la storia, le tradizioni e i saperi” della comunità locale. – Quindi, in cambio del mio contributo economico poi mi intervistate? Oh, non sono mai andata in televisione. Che emozione.
Se lei ha qualcosa da raccontare, certo che sarà intervistata. Affinché la sua storia diventi patrimonio della comunità e non venga dimenticata. E lo stesso accadrà a tutti coloro che hanno qualche testimonianza da lasciare in eredità alle generazioni future. L’Archivio della memoria sarà il regalo della comunità di Feltre a se stessa. – Un regalo? Ma è già natale? Dio, come passa in fretta il tempo.
No, non è natale. È giugno 2017: venerdì 23, sabato 24 e domenica 25. A Feltre. La quinta edizione, dopo tre anni a Collescipoli e uno a Cumiana. Protagonisti saranno musicisti d’Italia, d’Europa e del Mondo, che avranno l’opportunità di vivere un’esperienza unica: saranno ospitati nelle case dei feltrini. Gratis. Cioè i feltrini non dovranno pagare per l’onore di avere in casa qualche nume sacro della musica jazz. E nemmeno gli artisti dovranno pagare per avere l’onore invidiabile di passare tre giorni in una casa feltrina. Protagonisti saranno anche i volontari che arriveranno da mezza Europa – l’altra mezza sarà impegnata a suonare – e che anche loro godranno dell’inimitabile ospitalità feltrina. – Che emozione. Ci sarò, da protagonista. Jazzit. Il non festival. Gli assenti hanno torto, sempre…