Hoy me dejo estar. Quiesiera transformar mi vida en una larga, torpe, siesta paraguaya.
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Tuve mis cuatro alegrías y mis ocho dolores. Fui extranjero en todas partes y bebí la sal de todos los vientos. Se ensangrentaron mis puños golpeando portales que no se abrían y mi voz se rompió con el último alarido. Y entonces, come en la vieja fábula del zorro y las uvas, dije que nada valía nada, porque nadia había conseguido apresar. Estoy, pues, como antes de soñar: sin nada. O, peor, porque ya ni sueños tengo.
(Roberto Mariani)
La potenza dei simboli. La Francia e i francesi sono sempre stati molto attenti ai simboli – assai più dei loro cugini d’OltrAlpe – consapevoli che anche da essi può nascere una rivoluzione, finanche culturale. E all’insegna dei simboli nasce anche questo Tour 2021 – 3.400 km complessivi, da Brest a Parigi – con una prima tappa atipica, con GPM di quarta e terza categoria.
Tutta nel Finistére, da Brest a Landernau; poco meno di 200 km e un’altimetria inusuale per una prima tappa. Nell’ordine: Côte de Trébéolin, 900 metri al 5.1%; Côte de Rosnoen, 3 km al 4%; Côte de Locronan, 900 metri al 9.3%; Côte de Stang ar Garront, 2 km al 3.4%; Côte de Saint-Rivoal, 2.5 km al 3.9%; Còte de la Fosse aux Loups, 3 km al 5.7%, con punte del 14%. Nel mezzo, quel che basta di pianura spazzata dal vento della Bretagna.
Se Brest aveva già ospitato tre volte la partenza della Grande Boucle – tra queste, il 1952, anno di Fausto Coppi – l’arrivo a Landernau ha un chiaro valore simbolico. Si tratta della “casa” dei supermercati Leclerc. Vale a dire di chi sponsorizza a maglia a pois, dedicata al miglior scalatore. E quale modo migliore per celebrare questo sponsor che inserire, appunto sei salite già nella prima tappa?
La partenza in Bretagna può in fondo essere vista anche come un simbolico omaggio all’ultimo francese capace di arrivare in maglia gialla a Parigi, il Tasso Bernard Hinault. Correva il 1985. Da allora, solo piazzamenti sul podio: lo stesso Hinault l’anno successivo; Jean-FranÇois Bernard nel 1987; Laurent Fignon nel 1989; Richard Virenque nel 1996 e nel 1997; Jean-Christophe Pèraud e Thibaut Pinot nel 2014 – l’anno di Vicenzo Nibali, ultimo successo italiano; Romain Bardet nel 2017. Un po’ poco per la Nazione che di 107 Tour ne ha vinto 36; e che proprio da 36 anni attende di vedere un proprio figlio sfrecciare lungo l’Avenue des Champs-Élysées in maglia gialla.
Non parrebbe però esserci un francese tra i favoriti di questa edizione numero 108 del Tour – con un po’ di fortuna e caparbietà il campione del Mondo Julian Alaphilippe potrebbe aspirare a ripetere il 2019 chiudendo tra i primi 10. Secondo i poursuivants, i favoriti sono, in ordine sparso, Tadej Pogacar, Primoz Roglic, Chris Froome, Geraint Thomas. Con un occhio di riguardo per la Ineos, squadra che piazza quattro alfieri: Richard Carapaz, Richie Porte, Tao Geoghegan Hart e lo stesso Thomas – la sovrabbondanza di pretendenti, però, non sempre è foriera di successi. Poche chance pure per la pattuglia italiana, che conta soltanto nove membri – era dal 1983 che non eravamo così sottorappresentati – e qualche speranza di tappa e piazzamento finale decoroso.
Simboli, si diceva. Proprio da un simbolo, una foto, potrebbe scattare la scintilla che scaldi i cuori dei francesi – tifosi di Alaphilippe a parte. Una foto pure iconica, che ritrae Mathieu van der Poel vestito con i colori, e l’atteggiamento, del nonno, quel Raymond Poulidor che fu “eterno secondo” con i suoi otto piazzamenti sul podio della Grande Boucle e nessuna vittoria – al Palmares si aggiungano, per completezza, quattro podi ai Mondiali di ciclismo. Certo, Mathieu non è francese come il nonno – che non arrivò mai a vestire la maglia gialla, a differenza del genero Adrianus Aloysius Jacobus van der Poel, padre di Mathieu – ma la sua parentela con uno dei ciclisti più amati di Francia potrebbe bastare.
Ah, già. La tappa. Vittoria per Alaphilippe – che paradossalmente non era considerato tra i favoriti nella presentazione della tappa pubblicata nel sito ufficiale del Tour. A 8” il gruppetto dei migliori. Per Van der Poel la prima occasione è andata male: 20º, nel gruppetto. Due la cadute che hanno caratterizzato la corsa. La prima, a circa 45 km dal traguardo, ha coinvolto una decina di ciclisti. A provocarla una incivile, ça vas sans dire, spettatrice che – come troppe volte accade nel ciclismo – si è ben guardata dal rimanere a bordo strada e ha invaso la carreggiata con il proprio cartello “Allez opi-omi!” – guardando peraltro da tutt’altra parte rispetto alla direzione dalla quale arrivava il gruppo.
Se anche questo sia un simbolo del Tour, oltre che di maleducazione, strafottenza e mancanza di rispetto per i ciclisti, lo scopriremo in seguito.
Ps: tornando sulla foto: alle spalle di Poulidor “si riconosce”, in uno dei suoi migliori travestimenti, Louis de Funès…