Hoy me dejo estar. Quiesiera transformar mi vida en una larga, torpe, siesta paraguaya.
[…]
Tuve mis cuatro alegrías y mis ocho dolores. Fui extranjero en todas partes y bebí la sal de todos los vientos. Se ensangrentaron mis puños golpeando portales que no se abrían y mi voz se rompió con el último alarido. Y entonces, come en la vieja fábula del zorro y las uvas, dije que nada valía nada, porque nadia había conseguido apresar. Estoy, pues, como antes de soñar: sin nada. O, peor, porque ya ni sueños tengo.
(Roberto Mariani)
In piedi sul ciglio della strada, il console si domandò cosa fare adesso che l’ultimo autobus era passato. Perché era sicuro che i comunisti non avrebbero lasciato partire nessun altro mezzo di trasporto con cui la gente potesse fuggire all’estero. Consegnare il denaro e tornare al consolato ad aspettare che O’Connell mantenesse la promessa di offrirgli l’aereo dell’Imperatore? In tal caso avrebbe rafforzato i rivoluzionari e quando fosse arrivato a Buenos Aires i militari l’avrebbero messo in carcere per complicità con la sovversione. Qualcosa gli diceva che da un momento all’altro su quella strada sarebbero sfilate le prime macchine che fuggivano dirette in Tanzania o in Uganda e non si sbagliava. Solo che nessuna sembrava disposta a fermarsi per caricarlo. Forse non aveva l’aspetto giusto per fare l’autostop a quell’ora, o forse nessuno era disposto a caricare una valigia in più nel portabagagli. Le macchine sfrecciavano zeppe a tutta velocità, senza accendere le luci perché i fuochi d’artificio non erano ancora cessati. Bertoldi nascose la valigia dietro un cespuglio e strinse sotto il braccio il pacchetto con le lettere di Daisy. Passarono ancora diverse macchine e anche un autobus fuori servizio, e siccome nessuno badava ai suoi gesti andò a piantarsi in mezzo alla carreggiata, con le braccia e le gambe aperte, calcolando la distanza per buttarsi da parte se il guidatore non avesse frenato in tempo. Di lì vide arrivare, tra le cunette della strada, una macchina che gli sembrava di conoscere da sempre perché ce n’era una sola così nel Bongwutsi. La Rolls rifrangeva sul suo emblema cromato i colori degli ultimi bengala che volavano sopra la città.
Bertoldi corse sul terrapieno e andò a nascondersi dietro il cespuglio dove c’era la valigia: aveva paura che l’inglese l’avesse visto issare la bandiera sull’asta dell’ambasciata. Rimase raggomitolato guardando a terra. Un po’ vergognoso. Aveva fatto il suo dovere di argentino, pensò, ma adesso era di nuovo un uomo solo, abbandonato, che doveva attraversare la frontiera a qualsiasi costo. Non gli restava molto tempo; mise la mano nella tasca dell’impermeabile mentre avanzava, diffidente, verso l’asfalto. Quando la Rolls apparve sulla cunetta a trenta metri, e riuscì a distinguere Mister Burnett al volante, si fermò sulla linea che segnava la mezzeria della strada e cominciò ad agitare il fazzoletto.